In un art.
dell'Espresso (10.12.2014), scritto da Michele Sasso, dedicato alla libertà
di non credere, viene detto che in taluni paesi islamici la situazione è molto
preoccupante. Egli ha introdotto un corposo rapporto di 552 pagine
dell’International Humanist and Ethical Union (di cui l’Uaar è membro per
l’Italia), che si può trovare qui
https://drive.google.com/file/d/0B3gXFZt5sXX1aDJLblBMbjBxd0E/view.
https://drive.google.com/file/d/0B3gXFZt5sXX1aDJLblBMbjBxd0E/view.
La cosa più sconcertante è che ancora oggi in ben 19 nazioni
è impossibile rinunciare alla “fede di stato”, pena il rischio d'incorrere in
una sentenza capitale.
Il Pakistan non prevede la condanna a morte per apostasia,
ma ha perseguitato migliaia di persone da quando ha introdotto le leggi
anti-blasfemia (ancora in vigore) nel 1988. Per essere condannati basta una
bestemmia in pubblico.
In Malesia umanismo e secolarismo vengono considerate come
“deviazioni” pericolose per l’Islam. In Arabia Saudita si equipara “ateismo” a
“terrorismo”. In Egitto si considera l’ateismo una “minaccia per la società”.
In Indonesia gli atei rimangono socialmente emarginati e legalmente non
riconosciuti. Fuori controllo l’attuale Iraq, dove spadroneggia lo Stato
ultra-fondamentalista dell’Isis, che fa strage di minoranze religiose, tra cui
musulmani e “apostati”.
Questi son solo alcuni dei tantissimi paesi citati nel
rapporto. Evidentemente la secolarizzazione dei costumi e delle mentalità si fa
strada, in un mondo globalizzato, anche là dove meno ce la si aspetta.
E. Galavotti
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